Abuso del diritto ed elusione fiscale

L’abuso del diritto e l’elusione fiscale prima della novella dello Statuto del contribuente


 

È in vigore dallo scorso 1° ottobre il “nuovo” abuso del diritto. Concetto civilistico, ma non accolto però nel nostro codice, il principio è entrato nell’ordinamento tributario – nella species dell’elusione fiscale – con l’art. 37-bis, D.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi del quale erano “inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro,prividivalideragionieconomiche,direttiad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.

 

La disposizione, sin dal momento della sua introduzione, circoscriveva il suo ambito di applicazione alle sole imposte dirette e in riferimento a determinate fattispecie – ampliate nel corso del tempo – ritenute dal legislatore potenzialmente elusive (comma 3): operazioni straordinarie; conferimenti in società; cessioni di crediti o di eccedenze d'imposta; operazioni in derivati; operazioni con controllate e collegate in Paesi black list; ecc.. Inoltre prevedeva (comma 8) la possibilità di disapplicazione “qualora il contribuente” avesse dimostrato “che nella particolare fattispecie” i temuti “effetti elusivi non avrebbero potuto verificarsi”.

 

La situazione è radicalmente cambiata a seguito di alcuni interventi, soprattutto giurisprudenziali. A livello comunitario, si ricorda CGCE, 21/2/2006, n. 255 – Halifax (in Rass. Tributaria, 2006, 3, 1016); in Italia, Cass., SS.UU., 30/9/2008, n. 30005 (“non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmiofiscale in difetto di ragioni economicamente apprezzabili…”).

 

L’“abuso del diritto” ha infine trovato applicazione – “a condizione che fosse individuata la norma anti-elusiva, specificamente prevista dalla legge, violata” (p.e. l’art. 37-bis: cfr. Cass. pen., 28/2/2012,n.7739) e sia pure con qualche distinguo – anche in campo penale (Cass., 12/6/2013, n. 33187).

 

Il nuovo art. 10-bis, L. n. 212 del 2000.

 

In una situazione così confusa, un intervento normativo era ormai improcrastinabile: l’art. 1, c. 1, D. Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 ha dunque introdotto l’art. 10-bis nella legge 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto dei contribuenti”), al fine di definire per legge il concetto di “abuso di diritto”, individuarne gli elementi costitutivi, escluderne la rilevanza penale. In questo modo, il legislatore – come si vede dalla stessa rubrica dell’art. 10-bis – ha inteso sussumere l’elusione (species) nel più ampio concetto di abuso (genus). Correttamente, dunque, ha previsto l’abrogazione dell’art. 37-bis (un po’ meno correttamente, si è invece “dimenticato” dell’art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986, in tema di registro).

 

Il c. 1 della nuova disposizione individua le operazioni abusive, quelle cioè (a) prive di sostanza economica, e (b) che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Il successivo c. 2 esplicita i due concetti, sistematizzando le definizioni già emerse in ambito giurisprudenziale: (a) operazioni prive di sostanza economica sono “i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica… la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”; (b)  sono “vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario”.

 

Il riferimento alle “logiche di mercato”, piuttosto che alle “valide ragioni economiche” di cui all’ora abrogato art. 37-bis, “sembra… [voler] espungere dalle operazioni abusive sempre e comunque quelle perlequalièindividuabileun – seppur minimo, ma, comunque, quantificabile – vantaggio economico, cosìché il termine «ragioni», dotato…diunamaggiore astrattezza, è utilizzato solo in seconda battuta, per individuare l’esimente delle «ragioni extrafiscali non marginali»” (Leo, in Fisco, 2015, 10, 915). Esimente, quest’ultima, assai opportuna, laddove si consideri che, in passato, “in più occasioni… la giurisprudenza ha ritenuto che anche operazioni connotate da valide ragioni economiche potessero ritenersi elusive o abusive in ragione del percorso prescelto dal contribuente per realizzare il risultato” (Manzitti e Fanni, in Corriere Tributario, 21, 2015, 1597).

 

Altri Autori (Carinci e Deotto, in Fisco, 2015, 32-33, 3107) hanno invece evidenziato la mancanza di innovatività della definizione: già la “relazione di accompagnamento” all’art. 37-bis definiva infatti “lecito risparmio tributario” quello che “si verifica quando tra vari comportamenti, posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente adotta quello fiscalmente meno oneroso”, chiarendo che “non c’è aggiramento fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e fisiologico l’ordinamento gli mette a disposizione”. Nel nuovo assetto normativo, molto giustamente, queste considerazioni sono però esplicitate nel comma 4, vincolando l’interprete in modo assai più convincente.

 

I cc. da 6 a 9 riguardano il procedimento di contestazione dell’abuso del diritto (assai simile a quello già previsto dall’art. 37-bis), sia ribadendo i principi della motivazione dell’atto e del contraddittorio, sia indicando la ripartizione dell’onere della prova. Spetta al contribuente dimostrare le “valide ragioni extra-fiscali”dellacondotta,mal’eventuale assenzadi queste non qualifica in sé un’operazione come immediatamente abusiva (Carinci e Deotto, in Fisco, 2015, 32-33, 3107): è posto infatti in capo all’Agenzia un onere significativo, che è quello della produzione di un atto autonomo e motivato (impugnabile: Lamedica, in Corriere Tributario, 30, 2015, 2373) che dimostri “la sussistenza della condotta abusiva”. Non solo: la disposizione – in contrasto con l’attuale orientamento dominante in giurisprudenza – impone per tabulas la non rilevabilità di ufficio dell’eventuale abuso.

 

Molto interessante anche il comma 13, ai sensi del quale “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta [tuttavia] ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”. L’indirizzo giurisprudenziale che concludeva per la rilevanza penale dell’elusione fiscale viene così senz’altro meno. Di contro, lascia perplessa la precisazione in merito alla sanzionabilità amministrativa dell’abuso: se ciò si pone infatti in linea con la giurisprudenza interna (Cass., 18/9/2015, n. 18354), risulta invece in contrasto con la giurisprudenza comunitaria, a partire dalla sopra citata sentenza Halifax (v. Carinci, in Dir. e prat. tributaria, 2012, I, 785).

 

Retroattività o irretroattività dell’art. 10-bis, L. n. 212 del 2000.

 

La declaratoria di non punibilità penale dell’abuso del diritto apre una questione importante in ordine alla eventuale retroattività della disposizione, in particolare alla luce del c. 5, ai sensi del quale: “le disposizioni… hanno efficacia a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del… decreto [1° ottobre 2015: N.d.R.]…”.

 

Dal punto di vista degli effetti fiscali e delle sanzioni amministrative.

 

Come detto, infatti, la maggior parte dell’art. 10-bis si limita a riprendere, chiarire e sistematizzare una serie di principi di diritto enucleati dalla giurisprudenza italiana e comunitaria. La Suprema Corte, anzi, ha parlato dell’“abuso del diritto” come di un “principio immanente all’ordinamento”, qualificando implicitamente le proprie pronunce come “meramente ricognitive” del diritto vivente.

 

Così argomentando, anche l’art. 10-bis, nel suo complesso, avrebbe portata non già innovativa, ma interpretativa. Si potrebbe dunque concludere (ItaliaOggi, 28 settembre 2015, pag. 6) “che non solo l'istituto dell'abuso del diritto, ma anche il correlato obbligo di contraddittorio e il principio del legittimo risparmio di imposta appaiono applicabili a prescindere dalla scansione temporale fornita dal testo normativo”. Sulla stessa linea si pongono anche Carinci e Deotto, cit., i quali – come detto – appunto insistono molto sulla scarsa innovatività, a loro giudizio, della disposizione.

 

Per altra via (contrastante però con la Cassazione) CTR di Bologna n. 933/16/15 ha negato in radice la diretta applicabilità nell’ordinamento dell’art. 53, Cost., che sarebbe “norma programmatica” posta a vincolo del comportamento del legislatore e non anche del contribuente.

 

Dal punto di vista degli effetti penali.

 

Ai sensi dell’art. 2, c.p., “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. [Tuttavia], se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse [cioè: se non c'è stata abrogazione della fattispecie criminosa, ma solo una modifica della stessa: N.d.R.], si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.

 

Il tenore letterale dell’art. 10-bis, c. 13, dello Statuto del contribuente e l’abrogazione espressa dell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600 del 1973, non lasciano adito a dubbi nel senso di dire che il legislatore ha voluto “depenalizzare” l’abuso del diritto. Tuttavia, la depenalizzazione passa dall’abrogazione non di una norma incriminatrice penale, bensì di una norma extra-penale, integratrice della fattispecie criminosa (l’art. 37-bis).

 

Parte della dottrina ha ritenuto che il rispetto dei princìpi costituzionali impone di ritenere che “nella disciplina della successione di norme penali è attratta anche la successione delle norme extra-penali in esse richiamate” (Fiandaca, Musco, Padovani), mentre secondo altra parte l’art. 2 non troverebbe applicazione in caso di modifica mediata della norma penale incriminatrice (Grosso, Mantovani). La giurisprudenza sulla questione è però per lo più nel senso dell’applicabilità dell’art. 2, c. 2, c.p. anche alla successione di norme extra-penali (v. p.e. Trib. Aquila, 30/01/2008).

 

Pare dunque potersi concludere che l’abrogazione dell'art. 37-bis, unitamente alla declaratoria di non punibilità contenuta nell'art. 10-bis, facciano propendere per un mutamento complessivo dell'assetto giuridico in tema di “abuso del diritto” e, dunque, per l’applicabilità dell’art. 2, c. 2, c.p..


Luca Fantuzzi


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