La Cassazione apre la porta agli accordi prematrimoniali?

    No, si tratta dell’ennesima esagerazione giornalistica. Meglio precisare. Due coniugi, prima di sposarsi, avevano fatto un accordo prematrimoniale, in cui convenivano che, in caso di fallimento del matrimonio (questa l’espressione usata) la moglie avrebbe ceduto al marito l’immobile di sua proprietà, quale “indennizzo” per le ingenti spese effettuate dal marito sul detto immobile. Non una parola, invece, sull’eventuale assegno di matrimonio, e men che meno su altre statuizioni di carattere personale.

 

  Sopraggiunta la crisi matrimoniale, la moglie si rifiutava di dar seguito alla parola data, e il marito chiedeva l’esecuzione del contratto ex art. 2931 CC , mentre la moglie impugnava il contratto per nullità ex art. 160 CC.

 

   In primo grado il Tribunale rigettava la richiesta del marito, mentre in Appello i giudici gli davano ragione, asserendo che il contratto non incideva né sui rapporti personali né sulle statuizioni in materia di assegno divorzile, ma regolava un rapporto economico sostanzialmente disponibile.

 

   La Cassazione, con la sentenza 23713/2013,  ha giustamente specificato che nel contratto il divorzio non era la causa, ma soltanto una condizione, mentre la causa dello spostamento patrimoniale era, per espressa statuizione delle parti, l’indennizzo per le spese effettuate; in pratica regolava ex ante dei rapporti di dare e avere, sollevando il marito dall’onere di chiedere il rimborso delle spese in sede giudiziale, mentre ciò non incideva in alcun modo sull’assegno di mantenimento.

 

   Letto in questi termini, il contratto oggetto della sentenza di “pre-matrimoniale” aveva ben poco, e i veri contratti prematrimoniali –come i cd. prenuntial agreements negli USA- sono ancora nulli per contrasto con l’art. 160 CC, oltre che in contrasto con l’ordine pubblico.

 

   Nel nostro ordinamento, infatti, i rapporti giuridici, personali ed economici fra i coniugi sono una questione di diritto pubblico più che di diritto privato, e sono indisponibili agli stessi coniugi, che sono quanto mai liberi di sposarsi o meno, ma che una volta fatta la scelta non possono scegliere i diritti e doveri reciproci, specie in caso di crisi.

 

   Peraltro i rapidi cambiamenti della società e quanto avviene nei casi di separazione e divorzi, che troppo spesso assurgono all’onore della cronaca, forse impongono una diversa riflessione: se i coniugi fossero liberi di regolare almeno i rapporti economici tra loro, forse le separazioni sarebbero più semplici, e una riflessione del legislatore su questo punto sarebbe più che opportuna.

 

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